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Il trasferimento all’estero comporta sempre – in maniera più o meno intensa – il fenomeno del lutto migratorio.
Omero descrive bene questa condizione quando narra lo struggimento di Ulisse che vorrebbe tornare agli affetti familiari ed alla nativa Itaca.
L’odio di un dio avverso- Poseidone- glielo impedisce costringendolo a girovagare per 20 anni prima di poter tornare a casa.
“Ulisse trascorreva i giorni seduto sulle rocce,
sulla riva del mare, consumandosi a forza di piangere
sospiri e dolori, fissando i suoi occhi nel mare sterile,
piangendo instancabilmente…”
(Omero, Odissea, Canto 150)
Tale tipologia di lutto va inteso come un processo che nella maggior parte dei casi si elabora in un tempo ragionevole dopo il trasferimento all’estero consentendo all’individuo di adattarsi al meglio nel nuovo paese.
Il lutto migratorio è un lutto parziale perché le perdite non sono mai definitive ma ricorrenti.
Il paese d’origine, la famiglia, gli amici, non sono persi per sempre, perché il migrante può farvi ritorno.
Si parla pertanto di lutto ricorrente perché si rinnova ad ogni partenza dal proprio paese d’origine.
E’ anche un lutto speculare, poichè i familiari del migrante vivono un analogo – anche se solitamente meno intenso – processo di lutto della persona che ha deciso di emigrare (ad es. genitori e fratelli di expat).
Due sono gli elementi che caratterizzano il lutto migratorio: il tempo e lo spazio. Il tempo inteso come tempo trascorso lontano dal proprio paese d’origine; lo spazio inteso come distanza tra il luogo di vita ed il paese d’origine. Più tempo e più lontani si vive dal proprio paese d’origine, più il lutto migratorio può essere intenso.
Con il passare del tempo il lutto migratorio tende a ridursi d’intensità, ma non sparisce mai del tutto, accompagnando la persona per tutta la vita.
Il lutto migratorio ha caratteristiche in parte diverse rispetto ad altri lutti (ad esempio quello conseguente alla perdita di una persona cara) perché è un lutto caratterizzato da diverse perdite parziali,per cui è stato coniato il termine di lutto multiplo.
Trasferimento all’estero e lutto multiplo
Le perdite più significative che vive colui che si trasferisce in un paese straniero sono:
Perdita della famiglia e delle persone care.
Riguarda la rottura del legame di attaccamento che è un legame molto forte che si instaura nei primi anni dell’infanzia.
Perdita della lingua madre: intesa anche come capacità di sentirsi pienamente in relazione con gli altri.
Nel nuovo paese occorre esprimersi ed apprendere una nuova lingua e ciò avviene gradualmente.
Nel frattempo permane la difficoltà di relazionarsi con persone con le quali non si condivide la stessa lingua.
Perdita della cultura: intesa come l’insieme delle tradizioni, dei valori, dello stile di vita, le abitudini alimentari, il modo di vestire, di trascorrere il tempo libero,..
Perdita della terra: comprende il paesaggio, gli odori, i colori, i suoni, la luminosità, il calore.
Si perde il proprio quartiere, quella via, quel giardinetto, quella piazza, quella fontana, quella panchina della propria infanzia.
Perdita del gruppo di appartenenza: si intendono gli amici, il vicinato, i colleghi di lavoro, i conoscenti, coloro con i quali si condivide il tempo libero.
Il migrante deve ricostituire nuovi gruppi di appartenenza per poter soddisfare il suo bisogno di socialità.
Una nuova identità
Il lutto migratorio è un processo che- come qualsiasi forma di lutto- richiede del tempo per poter essere rielaborato efficacemente.
Al termine di questa rielaborazione il migrante acquisirà una nuova e più ricca identità.
L’identità di ciascuno non è mai data una volta per tutte ma è soggetta a cambiamenti ed integrazioni di fronte ad esperienze della vita significative.
Ecco perché l’esperienza migratoria cambia la persona, facendole acquisire nuovi aspetti di sé e dunque un’identità diversa da quella che aveva prima dell’esperienza migratoria.
La sindrome di Ulisse
Nei casi di lutto migratorio più intenso (cosiddetta Sindrome di Ulisse) il processo di elaborazione di lutto si blocca e si possono manifestare sintomi quali tristezza e pianto, insonnia, tensione, irritabilità, pensieri negativi ricorrenti, fatica, cefalea, emicrania.
E’ frequente anche la presenza di una distorsione della realtà, arrivando ad esaltare la propria Patria come una Terra Promessa, un posto perfetto, un posto dove tutto era bello e idilliaco.
Al contrario, si considera il nuovo Paese come un nemico che ci ha causato solo distruzione e sofferenza, un posto orrendo dal quale si vuole fuggire, non rendendosi conto che la vera causa del proprio malessere non proviene dall’esterno ma da noi stessi.
Non tutti gli expat vanno incontro alla sindrome di Ulisse.
Sulla sua insorgenza influiscono fattori di personalità, la storia individuale così come le condizione della migrazione e l’ambiente nel quale ci si inserisce.
Di fronte a tale sintomatologia è importante da un lato non sottovalutare la presenza di tali “campanelli d’allarme” che segnalano la presenza di un forte disagio, né medicalizzare diagnosticando una patologia mentale che non c’è.
I sintomi della sindrome di Ulisse infatti possono assomigliare a quelli di altri quadri sindromici ma in realtà si tratta di una grave condizione di stress.
Il primo passo da compiere é riconoscere questo disagio dentro di sè.
La presenza di un professionista può aiutare la persona a superare la fase di “impasse” nell’elaborazione del lutto.
Se lo desideri puoi condividere la tua esperienza di trasferimento all’estero commentando questo articolo.
Bibliografia:
Joseba Achotegui, 2018, La Inteligencia migratoria, NED, Barcelona
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